Madame Bovary
Madame Bovary è il primo romanzo di Gustave Flaubert. Appena pubblicato fu messo sotto inchiesta per “oltraggio alla morale”, ma grazie all’assoluzione del 7 febbraio 1857 potè essere distribuito e divenne in breve tempo un bestseller. Oggi è considerato uno dei primi e più riusciti esempi di romanzo realista.
In questo libro Flaubert, che era un perfezionista della scrittura e si faceva vanto di essere alla perenne ricerca “de le mot juste” (la parola giusta), raggiunge un livello straordinario nei dettagli e nell’elaborazione di raffinati schemi nascosti.
Il libro tratta dell’inconciliabilità di realtà e fantasia, della distanza incolmabile tra sogni e vita quotidiana. Tutto ruota intorno alla moglie di un modesto ufficiale sanitario, la signora Emma Bovary che, educata in convento, ha nutrito la propria immaginazione e sensibilità con numerose letture, e confida di realizzare i propri sogni romanzeschi attraverso il matrimonio.
Ben presto, però, Emma resterà delusa dalla noia e dalla vacuità della vita di provincia, e tenterà di sottrarvisi dandosi all’adulterio e vivendo al di sopra dei propri mezzi.
Le vicende narrate si ispirano a fatti realmente accaduti a una giovane donna, Delphine Delamare.
Dall’incipit del libro:
Stavamo studiando, quando entrò il preside seguito da un nuovo alunno vestito in borghese e dal bidello che trasportava un grosso banco. Quelli che dormivano si svegliarono e si alzarono in piedi come sorpresi in piena attività.
Il preside ci fece cenno di star comodi, poi si rivolse all’insegnante:
«Professor Roger,» disse sottovoce «le raccomando questo allievo. Viene ammesso alla quinta, ma se il profitto e la condotta lo renderanno meritevole, passerà fra i grandi, come richiederebbe la sua età».
Il ‘nuovo’, un giovane e robusto campagnolo d’una quindicina di anni circa, alto di statura più di ognuno di noi, rimaneva in un angolo dietro la porta, di modo che lo vedevamo appena. Aveva i capelli tagliati diritti sulla fronte, come un chierichetto di paese: sembrava assennato e molto intimorito. Benché non avesse le spalle larghe, dava l’impressione che la giacchetta di panno verde con i bottoni neri lo stringesse sotto le ascelle; gli spacchi dei risvolti delle maniche lasciavano vedere i polsi arrossati a furia di rimanere scoperti. Le gambe calzate di blu sbucavano da un paio di pantaloni giallastri sostenuti con troppa energia dalle bretelle. Portava scarpe chiodate robuste e mal lucidate.
Cominciammo a recitare le lezioni. Egli stava tutto orecchi ad ascoltarle, attento come se ascoltasse un sermone, senza osare nemmeno incrociare le gambe o appoggiarsi al gomito, e alle due, quando suonò la campana, il professore dovette chiamarlo perché si mettesse in fila con noi.