Una burla riuscita
Una burla riuscita è una breve opera letteraria pubblicata nel 1926 da Italo Svevo.
In questo libro è narrata la storia di Mario Samigli (pseudonimo con il quale lo stesso Svevo firmò numerosi articoli apparsi sull’Indipendente), un letterato deluso per i continui insuccessi, che riesce a riscattarsi grazie ad un improvviso successo negli affari, che compensa le delusioni letterarie.
Mario Samigli, impiegato con spiccate velleità artistiche e grande lettore e studioso di letteratura è autore di molte favole (per lo più imitazioni dai più grandi autori) e di un romanzo pubblicato quarant’anni prima. In un certo momento della sua vita, però, la situazione cambia grazie all’incontro con un tizio che si presenta come rappresentante di un editore tedesco interessato a pubblicare il romanzo. L’incontro è fonte di grande felicità per il protagonista al quale sembra stia per arrivare (anche se ormai piuttosto anziano) il momento della definitiva e inequivocabile consacrazione a scrittore: un riconoscimento del quale egli considerava degna la sua arte ma mai concretizzato.
Ma presto la storia si capovolge in dramma, alla scoperta che il suo improvviso successo non è stato altro che lo scherzo (una “burla” appunto) di un collega del protagonista, che lo vuole unicamente umiliare.
In quest’opera, seppur molto breve, è possibile riscontrare alcune specifiche tematiche, riconducibili poi alle medesime su cui si fonda l’intera opera Sveviana: esse sono principalmente la psicoanalisi dell’insoddisfazione, che prende corpo con i sogni e nei sogni del protagonista, tanto turbati e ansiosi quanto calma è la sua condotta da sveglio; l’amore dimostrato al protagonista dal fratello, tenuto ostaggio del dolore dalla malattia; il dramma della beffa, che, lontana dall’essere umoristica, è al contrario bassamente malevola.
Note tratte e riassunte da Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Una_burla_riuscita
Dall’incipit del libro:
Mario Samigli era un letterato quasi sessantenne. Un romanzo ch’egli aveva pubblicato quarant’anni prima, si sarebbe potuto considerare morto se a questo mondo sapessero morire anche le cose che non furono mai vive. Scolorito e un po’ indebolito, Mario, invece, continuò a vivere per tanti anni di certa vita lemme lemme com’era consentita da un impieguccio che gli dava non molti fastidi e un piccolissimo reddito. Una tale vita è igienica e si fa ancora più sana se, come avveniva da Mario, è condita da qualche bel sogno. Alla sua età egli continuava a considerarsi destinato alla gloria, non per quello che aveva fatto né per quello che sperava di poter fare, ma così, perché un’inerzia grande, quella stessa che gl’impediva ogni ribellione alla sua sorte, lo tratteneva dal faticoso lavoro di distruggere la convinzione che s’era formata nell’animo suo tanti anni prima. Ma così finiva coll’essere dimostrato che anche la potenza del destino ha un limite. La vita aveva rotto a Mario qualche osso, ma gli aveva lasciati intatti gli organi più importanti, la stima di se stesso, e anche un po’ quella degli altri, dai quali certo la gloria dipende. Egli attraversava la sua triste vita accompagnato sempre da un sentimento di soddisfazione.
Pochi potevano sospettare in lui tanta presunzione, perché Mario la celava con quell’astuzia, quasi inconscia nel sognatore, che gli permette di proteggere il sogno dal cozzo con le cose più dure di questo mondo.