Il matrimonio del cielo e dell’inferno
Dobbiamo a Edmondo Dodsworth questa prima traduzione italiana di opere di William Blake, all’epoca praticamente sconosciuto nel nostro paese. La scelta antologica è abbastanza felice e parte dalle opere giovanili; Songs of Innocence, scritte nel 1789, poesie di grande spontaneità e rispecchianti le gioie e le armonie di un’infanzia serena, seguite, nel 1794 da Songs of Experience dove viene invece sviluppato l’aspetto negativo, forse già implicito nelle precedenti. Questa raccolta comprende The Tiger che è forse la poesia più conosciuta di Blake.
L’infanzia assurge a simbolo di innocenza la cui contaminazione è però implicita nella moderna società. Queste contaminazioni divengono esplicite attraverso le distorsioni e le mistificazioni portate dalle trasformazioni della società in sinergia con la corruzione dell’innocenza operata da forze immorali. Questa dialettica dei contrari la troveremo sempre presente nell’opera di Blake. In queste prose poetiche già si scorge la predilezione dell’autore – unitamente a Collins, Gray, Chatterton – per le mitologie nordiche, i miti di Ossian, la messa in primo piano del gotico e la rivalutazione del Medioevo.
Come hanno praticamente sottolineato tutti i critici che si sono occupati dell’arte di Blake – in Italia va ricordato almeno Roberto Sanesi – non può essere separata la sua opera pittorica da quella poetica e letteraria. Come riscontriamo evidente la fascinazione gotica dei suoi Libri profetici, così siamo indotti a valutare parallelamente la predominanza nelle sue opere pittoriche della forma gotica di linea e contorno. A questi aspetti Blake affida la possibilità di apertura visionaria piuttosto che al colore dei pittori veneziani e rinascimentali che detestava unitamente al chiaroscuro di Joshua Reynolds. Disse Blake: “La natura non ha contorno, ma l’immaginazione sì”.
The Marriage of Heaven and Hell esprime più compiutamente la sintesi che Blake opera, come poeta rivoluzionario, tra le derivazioni da Paine e Godwin – per gli aspetti sociali – e dalla tradizione occultistica ed esoterica – per gli aspetti più tipicamente etici e metafisici – già fatta propria almeno in parte da Swedenborg, Boehme e Taylor. Troviamo quindi una sorta di ispirazione mistico-profetica mediata dal linguaggio e dalla visionarietà biblica. La ribellione di Blake riguardo agli ordinamenti e i dettami civili religiosi e morali fa di questo poeta il più importante genio rivoluzionario del Romanticismo inglese.
Nella sua opera troviamo rappresentata l’opposizione a costrizioni e paure indotte dal conformismo politico e religioso. Non possiamo dimenticare che subito dopo questo Marriage, Blake, entusiasta dei sommovimenti rivoluzionari di Francia e America, scrisse The French Revolution, The Visions of the Daughters of Albion e America. In queste opere il suo schierarsi a fianco della rivendicazione della libertà individuale e del progresso sociale si fa ancora più netto e preciso. Questa rivendicazione prende corpo tramite l’analisi delle opposizioni e dei contrari. Nel Marriage la validità dell’antica legge morale viene contrastata con coraggio.
Geova appare come geloso e malefico, Satana paladino invece di energia e volontà. Energia e ragione sono il “contorno” che dà forma alla vita: la libertà dell’azione è bene, subire passivamente la legge morale è male. Anticipando le tematiche di Shelley e Keats, Blake è il primo grande poeta a interpretare lo spirito di radicale ribellione. Nella sua poesia è costantemente presente la lotta fra libertà e tirannide, fra diseredati e sfruttati e potere costituito.
La sua innovazione si manifesta anche attraverso la dialettica Blakiana dove la verità viene raggiunta tramite la contrapposizione dei “contrari” che si confrontano senza tuttavia assumere le caratteristiche gli uni degli altri perdendo la loro originalità. Nella nascita contemporanea, secondo Blake, di inferno e paradiso non si può non scorgere la contrapposizione della spaventata Inghilterra alla Rivoluzione francese.
Tiriel, forse l’opera più rappresentativa tra quelle dette “simboliche”, vediamo un vecchio re che si oppone alla rivolta dei figli. Anche questo è un aspetto della sempre presente contrapposizione potere-oppresso nelle opere di Blake. I figli di Tiriel si oppongono al giogo di terrore imposto dal padre. Tiriel è costretto ad abbandonare la reggia e a rifugiarsi presso Har ed Heva, mentre il fratello Ijim lo sostituisce nel governo del regno.
Il ritorno di Tiriel porta feroce repressione verso la numerosa e ribelle prole accompagnata da tremende calamità naturali. I valori morali ispirati dalla malsana “saggezza” di Tiriel sono negativi perché costrittivi della libertà sociale. Nel Libro di Urizen troviamo invece il tentativo di Blake di fondare un mito cosmogonico che conduca le vicende umane al di fuori ed evitando la guida della provvidenza.
Abbiamo anche una scelta dal penultimo dei libri profetici, Milton (l’ultimo sarà Jerusalem) dove il poeta che tanto inflenzò Blake rappresenta la figura dell’“uomo ispirato”. Va ricordato che Milton per primo sperimentò nel suo Paradise Lost la contaminazione tra l’epica classica di Omero e Virgilio e il tema biblico. Contaminazione che possiamo riscontrare a più riprese anche nei libri profetici di Blake.
La scelta di testi è preceduta da una interessante introduzione su vita e opere di Blake, opera del traduttore, che è in pratica il primo tentativo di critica blakiana in italiano. Tra le numerose traduzioni successive dell’opera di questo grande poeta vanno certamente ricordate quelle di Ungaretti.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’Introduzione ai Canti dell’Innocenza:
Sufolando nelle vallate selvagge,
Sufolando canti di letizia,
Sopra una nuvola vidi un fanciullo
Ed egli, ridendo, mi disse:
Sufola un canto di un Agnello!
Così sufolai con festosa letizia,
«Flautista, sufola quel canto di nuovo.»
Così sufolai; e nell’udirmi egli pianse.
«Getta il tuo sufolo il tuo giocondo sufolo;
Canta i tuoi canti di felice letizia.»
Così nuovamente io li cantai
Mentr’ei piangeva, nell’udirmi, di gioia
«Flautista siediti e scrivi
In un libro chè tutti vi possano leggere.»
Così dai miei occhi egli svanì
Ed io svelsi una cannuccia vuota
E ne foggiai una penna rurale.
Ed oscurai la limpid’acqua
E scrissi i miei canti felici
Chè ogni fanciullo nell’udirli gioisca.