I Viceré
I Viceré è il romanzo più celebre di Federico De Roberto che ne iniziò la stesura a Milano nel 1894 raccogliendo materiale sulle vicende del risorgimento meridionale, qui narrate attraverso la storia di una nobile famiglia catanese, quella degli Uzeda di Francalanza, discendente da antichi Viceré spagnoli della Sicilia ai tempi di Carlo V.
Con il nome degli Uzeda De Roberto allude in realtà alla principesca casa Paternò, e in particolare alla figura del Marchese Antonino Paternò Castello di Sangiuliano, sindaco di Catania, ambasciatore e ministro degli Esteri, che nel romanzo è identificato con il giovane Consalvo Uzeda.
Questa “storia di famiglia” si ispira al principio positivistico e naturalistico della race (l’ereditarietà), con tutte le sue conseguenze. I componenti della famiglia degli Uzeda sono accomunati dalla razza, e dal sangue vecchio e corrotto, anche a causa dei numerosi matrimoni tra consanguinei. Quanto emerge da questa famiglia è una spiccata avidità, una sete di potere, meschinità e odii che i componenti nutrono l’uno per l’altro, alimentando in ciascuno una diversa patologica monomania.
Ogni membro della famiglia ha una storia segnata dalla corruzione morale e biologica, che si evidenzia anche nella loro fisionomia e nelle deformità fisiche che verranno illustrate dall’autore nell’episodio di Chiara che, dopo aver partorito un feto mostruoso, lo conserva sotto formalina in un boccione di vetro. Ma I Viceré, oltre a “una storia di famiglia”, sono anche una rappresentazione dagli accenti forti e disillusi della storia italiana tra il Risorgimento e l’unificazione. Il romanzo è infatti ambientato negli anni tra il 1850 e il 1882.